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Indietro tutta: the Analog Renaissance. La mia nuova Nikon FM2

Da piccoli le cose avevano più valore, specie in un’epoca dove la tecnologia non era così presente nella quotidianità di tutti.

Oggi i bambini iniziano a maneggiare touchscreen e oggetti hi-tech ancor prima di imparare a camminare ma prima non era così e i tempi erano molto diversi: io ad esempio ho avuto il mio primo telefono a 14 anni (un Mitsubishi Trium, per la cronaca) ma non è stato in quel momento che mi sono sentito “grande”, bensì qualche anno prima. Era il 1997, il sistema GSM era agli albori e mio padre comprò un Nokia 1610: un mostro da 250 grammi e con una economicissima tariffa di Telecom Italia: circa 2.000 lire al minuto. Si chiamava soltanto se strettamente necessario ma non ci pensavo più di tanto: già il solo averlo in mano mi faceva sentire grande, e questa sensazione aumentava ancora di più quando uscivo per fare compere di sera e mio padre pronunciava il fatidico “Portati il telefono, non si sa mai” (non ho mai capito se per emergenza o altro).

Il Nokia 1610 di mio padre. No, non è la foto che è gialla, sono i bottoni ad essere usurati…

Divagazione telefonica a parte, la sensazione di sentirmi grande quando i miei mi concedevano l’uso di alcuni oggetti “da grandi” l’ho avuta ancora prima, precisamente nel 1995. Era l’anno in cui frequentavo la quinta elementare e un giorno ricordo che dovevamo andare in gita al museo di Taranto. Non era certo una meta incredibile (chi a 10 anni è seriamente interessato alla storia greca?) ma avevo comunque voglia di immortalare quei momenti.

Già, ma il digitale era ancora un miraggio e dovevo andarci con la scuola e non coi miei genitori, quindi occorreva che mio padre mi prestasse la sua macchina fotografica. Non era chissà cosa, visto che dopo il furto dall’auto di una bella reflex Ricoh mio padre aveva optato per una compattona-plasticona-automatica della Kodak, ma le pellicole costavano e sviluppare e stampare idem…

“Portatela, ma non fare tante foto perché costa”, mi disse mio padre prima che uscissi di casa. Lo ascoltai a stento e uscii di corsa perché mi sentivo grande: avevo con me una macchina fotografica! Nonostante l’entusiasmo seguii il monito e non feci tante foto, anzi.

La Kodak S100EF: niente ghiere o possibilità di settaggi manuali, solo una mezza regolazione per la luminosità e il flash… La semplicità ignorante anni ’80!

Gli anni passavano e quella compattona c’era ancora: l’ho usata nelle gite del liceo, in alcuni viaggi di famiglia, in giro per qualche foto. Non avevo però ancora la passione della fotografia e comunque non ci legai tanto, e infatti nel 2005 arrivò a casa la prima digitale: una Panasonic Lumix col suo interessante zoom ottico da 6x. Il futuro era arrivato a casa mia: scattavi e vedevi subito cosa hai combinato, non c’erano rulli da comprare né altro, stampavi solo se volevi altrimenti tienevi i file su PC e via! Quella Lumix l’ho usata tanto, anche quando iniziarono a comparire i primi cellulari con la fotocamera…

La fotografia però non era ancora tra i miei interessi principali, finchè nel 2012 mi venne il pallino: dovevo avere una reflex! Lessi articoli e visto video-recensioni fino allo sfinimento, quando optai per una Nikon D90 col suo bel 18-105mm. Ora si, ero un appassionato vero! Con quella macchina ci ho fatto quasi 50 mila scatti, l’ho portata allo stadio, ai concerti, mi ha dato anche qualche piccola soddisfazione lavorativa (come una piccola collaborazione con Vanity Fair) ed è stata prima affiancata da una Fuji XE-2 – altro mio amore di cui forse un giorno vi parlerò – e poi sostituita l’anno scorso da una Nikon D600.

In tutto questo però sentivo il bisogno di rompere il solito processo di scatto-vedilafotonelloschermo-postproduzione-salvataggioestampaoccasionale in favore di qualcos’altro… Avevo già una Polaroid 600 dei miei genitori (mai usata in 35 anni) ma le uniche pellicole reperibili oggi sono le Impossible Project, che offrono delle ricariche da 8 foto all’accessibilissimo costo di circa 20 euro! Non l’ho mai usata ma non escludo di comprare anche un solo blister, giusto per provare il brivido della fotografia instantanea old-school 🙂

Qualche mese fa in una domenica pomeriggio qualunque inizio dunque a girare su Google in cerca di informazioni sul fantastico mondo della fotografia analogica… Essendo già nikonista convinto, decido di scremare la rosa ai soli modelli della casa giallo-nera, preferendo solo modelli completamente manuali e magari con un esposimetro incorporato ed ecco che individuo tre modelli:

  • F2 (bellissima ma troppo grossa e spesso con l’esposimetro ormai alla frutta)
  • F3 (estetica troppo eighties e con troppa elettronica)
  • FM2 (compatta, semplice e tutta meccanica)

La mia preferenza cade su quest’ultima che però, nonostante sia più semplice delle prime due (decisamente più Pro) ha comunque prezzi sull’usato di tutto rispetto… Complice questo fattore decido di mettere il tutto in standby e di destinare i miei soldi verso altre spese (come un ultragrandangolare per la Fuji e un cavalletto Manfrotto bello resistente), ma continuo sempre a tenere sott’occhio Ebay e i vari siti di compravendita, in attesa dell’occasione.

E quell’occasione mi capita giusto a fine febbraio, quando su Ebay vedo l’asta per una FM2 silver (in variante New) che pare tenuta benissimo! Contratto il prezzo col figlio del proprietario (che non sa cosa si ritrova per le mani) e spunto l’affare… Adesso sono anche io proprietario di una FM2, completa di cinghia originale e tutti i documenti! E quando apro il pacco e vedo anche lo scontrino vengo sommerso dai ricordi: la macchina è del 1995, giusto l’anno in cui ho iniziato a scattare fotografie.

La mia nuova (vecchia) Nikon FM2n, abbinata al 50mm f/1.4 degli anni ’70 che avevo già… Non è bellissima?

Io e la mia FM2n abbiamo iniziato a fare foto nello stesso periodo e continueremo insieme! Adesso vi lascio e magari fra qualche rullo vi racconterò un po’ meglio di lei e di cosa significhi scattare senza guardare la foto appena fatta, attendere lo sviluppo e magari farlo anche da sé… Perché la mia #AnalogRev contempla anche questo: non solo scattare con una macchina a pellicola ma sviluppare anche i rullini con tank, reagenti e dark room… Tutto come si faceva una volta.

Vi lascio col video dell’unboxing della mia nuova (vecchia) camera da 35mm… A presto!

Liber-azione. Mio nonno, io e la seconda guerra mondiale

In una società che corre alla velocità della luce e che ha abbandonato l’approccio diacronico in favore di una sincronia spinta abbondantemente fuorigiri, risulta difficile avere una memoria che contempli quello che è successo solo qualche istante prima. Viviamo connessi (e forse immersi) in una specie di RAM, memoria volatile che viene continuamente violentata da un flusso continuo di dati in ingresso e in uscita, corrente continua che dopo il suo passaggio lascia poco e nulla nelle nostre sinapsi.

Se è difficile avere una memoria a corto raggio, è facilmente immaginabile cosa significhi conservare ricordi e fotogrammi di cose che apparentemente sembrano lontane da noi, ma che in realtà ci sono vicinissime sia dal punto di vista strettamente cronologico che sociale. Un evento ha diverse maniere per esercitare una qualunque influenza su di noi: può farlo in maniera diretta ma anche indiretta, attraverso l’azione e/o il condizionamento che magari ha esercitato sui nostri genitori o sui nostri nonni.

Oggi parliamo appunto del secondo caso, visto che è il 25 aprile 2015, giornata nella quale ricorrono i 70 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Per molti oggi è un semplice festivo da dedicare al mare, alle scampagnate con tanto di barbecue o alle gite, ma per tanti altri è una giornata nella quale riflettere su personaggi, storie e ideologie, e sul valore residuale che hanno nella società moderna. Alcuni giorni fa per Martina News ho intervistato Alessandro Massafra dell’ANPI di Martina Franca (articolo QUI) e mi trovo d’accordo con lui quando dice che l’antifascismo non sarà mai fuori moda o antico, perché antifascismo significa lottare contro la prevaricazione e l’abuso, a prescindere che sia di natura politica, ambientale, morale, etc…

ceppo 70 anni liberazione_martina franca
Il ceppo per i 70 anni della Liberazione dell’Italia inaugurato oggi a Martina Franca.

Ogni anno, anche solo per poco, in questa giornata mi ritrovo a pensare a cosa significhi avere contezza di quello che hanno vissuto i nostri genitori e i nostri nonni, eventi che hanno inciso sul loro vissuto nelle maniere più varie. Sin da piccolo mi sono interessato di storia contemporanea: il mio primo libro storico lo comperai ad un mercatino dell’usato in un’estate di una ventina di anni fa. Era un manuale con alcuni estratti dei discorsi di Benito Mussolini pronunciati durante l’infausto Ventennio. Ricordo ancora la faccia della signora che me lo vendette, sorpresa del fatto che a 10-11 anni si potessero leggere robe simili. Da lì mi sono appassionato alle vicende della Seconda Guerra Mondiale prima, e della Guerra Fredda poi. I libri si sono accumulati, gli anni sono passati, mi sono laureato con una tesi sul revisionismo storico, ma una consapevolezza è rimasta: non si possono dimenticare i fatti che scaturirono dalla scellerata decisione presa il 10 giugno 1940, delirio nero che portò una nazione intera e il suo popolo allo sfascio, alla guerra civile, ai morti e ai mutilati. Come dimenticare la disfatta dell’ARMIR in Russia, le campagne in Africa o nei Balcani, le leggi fascistissime del 1938, l’OVRA, la repressione ad ogni livello, la Resistenza, la Repubblica Sociale Italiana e l’8 settembre 1943?
Per me è impossibile, perché sono fatti che hanno coinvolto le nostre famiglie. Ognuno di noi ha almeno un parente che ha combattuto in uno dei vari teatri di guerra, sia da una parte che dall’altra. Tanti sono morti e non hanno ricevuto una degna sepoltura; tanti sono tornati a casa, profondamente provati dalle fatiche della guerra, della clandestinità o della deportazione nei campi sparsi per l’Europa.

Nel titolo menzionavo mio nonno, e non lo facevo a caso. Carlo Carbotti, matricola 26936, nel 1943 era un ventenne come tanti di quel periodo: fame e miseria erano ovunque, e costringevano talvolta a scelte difficili, come quella di entrare nell’Esercito. Vitto, alloggio e una paga (misera) all’epoca costituivano un’attrattiva importante (ampiamente foraggiata dalla propaganda di regime), seppure all’atto pratico i rischi fossero notevoli, specie in un teatro – quello italiano – che quell’anno avrebbe visto l’inizio della fine. Mio nonno – assieme ad altri due fratelli – ha partecipato a diverse campagne, ma quella che lo segnò particolarmente porta un intervallo temporale ben preciso: marzo-settembre 1943. In quel periodo fu trasferito da Udine in Croazia, a combattere contro le truppe di Tito in quella che pareva ormai una guerra ampiamente segnata: troppo scarso l’equipaggiamento delle truppe, poco il coordinamento e bassissimo il morale, nonostante gli uomini si facessero valere sempre e comunque.

Un giorno mio nonno, durante una perlustrazione in una zona calda, fu catturato dai titini e rinchiuso in un campo, assieme ai suoi compagni. Tra di loro un conterraneo, col quale mio nonno legò subito in maniera particolare, complice anche la vita da prigioniero di guerra. Fame, torture e scarsissima igiene in queste situazioni facevano tante vittime tra ragazzi che avevano avuto l’unica colpa di aver creduto ai fasti che il regime prometteva. I fascisti convinti c’erano ma erano concentrati maggiormente tra gli ufficiali, mentre le truppe erano carne da macello da mandare in prima linea, nella convinzione che qualche centinaio di loro sarebbe bastato per sedersi al tavolo dei vincitori, così come lo stesso Mussolini credeva nella primavera-estate 1940.

La storia però andò in maniera diversa e tanti di quei ragazzi lo provarono sulla propria pelle, a prescindere che fossero soldati, partigiani o civili. Le settimane in quel campo passavano lentissime, mentre mio nonno si convinceva sempre di più che fosse necessaria la fuga, nonostante il suo amico avesse paura di essere scoperto e fucilato. “Io non resto qui, tanto moriremo comunque… Vieni con me, proviamo a scappare!”, ripeteva mio nonno, riuscendo alla fine nella sua opera di convincimento. E una sera fuggirono, sfruttando l’oscurità e un attimo di distrazione delle guardie. In quel momento li attendeva un assurdo viaggio a piedi: 1200 km da percorrere attraversando diversi scenari di guerra, con un Italia che proprio in quel momento viveva il periodo più basso e triste di tutto il conflitto. Camminarono per settimane, dormendo di giorno e consumando di notte le suole dei pessimi anfibi che avevano in dotazione. Niente cibo, solo bucce di patate, tuberi e quant’altro trovavano per i campi e le strade. In quel momento non erano né fascisti (perché passando per Trieste si rifiutarono di rientrare nei ranghi) né tanto meno partigiani, erano soltanto giovani sbandati in fuga per la libertà. Tutto questo mentre in Italia donne e uomini combattevano (e morivano) contro le forze nazifasciste per restituire libertà e dignità ad una terra violentata dal fanatismo e dal piombo. Dopo diverse settimane mio nonno e il suo amico riuscirono a tornare in Puglia, deperiti ma felici di essere liberi.

Mio nonno, persona di pochissime parole come il sottoscritto, non solo non mi ha mai parlato di questi fatti ma in seguito ha anche votato da tutt’altra parte. Troppo forte la ferita, nonostante fossero passati tanti anni? Non lo so, so solo che quello che conosco deriva dai racconti che mia nonna ha fatto a mio padre. Non ci fossero stati i documenti e i ricordi, questa sarebbe stata una storia sepolta. La storia di mio nonno e di un compagno di sventura, finiti in un campo in Croazia con una sola, grande colpa: aver creduto che quella divisa avrebbe dato loro il pane.

Per questo non ho problemi a ritenermi antifascista, a ripeterlo ancora oggi e ogni volta che servirà.

  • Sono antifascista perché rifuggo dall’ideologia della sopraffazione, della manipolazione, della propaganda.
  • Sono antifascista perché non voglio che i miei figli possano rivivere quello che hanno vissuto i nostri nonni.
  • Sono antifascista perché ricordo chi siamo e da dove veniamo.

Eclissi di sole a Martina Franca [galleria + video]

Questo venerdì 20 marzo non sarà ricordato solo per l’abituale ingresso della stagione primaverile in tarda serata, ma anche per l’eclissi solare avvenuta questa mattina. Un evento raro e particolare che purtroppo l’Italia, vista la sua posizione, non è riuscita a godersi integralmente, con coperture del sole estremamente differenti che hanno favorito la zona settentrionale del Belpaese: se Milano ha toccato il 65%, la Sicilia si è accontentata di un misero 40%. Discorso diverso invece per il Nord Europa, con percentuali di oscuramento molto vicine al 100%, mentre nella zona centrale i più fortunati sono stati i francesi, col 75% di oscuramento solare.

Qui in Puglia l’oscuramento è iniziato attorno alle 9:30 e ha raggiunto il suo picco circa un’ora dopo, per concludersi poco prima di mezzogiorno. Bassina la percentuale di copertura, che a Martina Franca si è assestata attorno al 45%. Ad occhio nudo l’evento è stato praticamente invisibile, ma con un filtro tra occhi e sole lo spettacolo è stato ben differente. Non avendo a disposizione alcun costosissimo filtro apposito, mi sono arrangiato utilizzando una comune lastra da saldatore appoggiata al paraluce del teleobiettivo che ho usato per scattare. Come da copione, l’accoppiamento non è stato ottimale e mi sono quindi arrangiato mantenendo a mano la lastra. Dopo poco la fatica si è fatta sentire, e qualche scatto è purtroppo venuto mosso… Notare a fine galleria la differenza fra la visione ad occhio nudo e quella col filtro!

Avendo poi qualche minuto libero fra uno scatto e l’altro, ho realizzato una piccola clip per ricordare questa giornata, spero vi piaccia 🙂

Effeunopuntoquattro è online!

Come anticipato su Facebook negli scorsi giorni, oggi Effeunopuntoquattro va online! Ho comperato questo spazio per gioco circa 2 mesi fa, sia per occupare il dominio (che come vedete ha il mio nome) sia per dare una forma compiuta a quello di cui mi occupo tutti i giorni. Effeunopuntoquattro ha un layout prettamente fotografico, quindi troverete tante gallerie, dalla Lega Pro al basket, passando per eventi, paesaggi e tanto altro. Scatti a parte, ho previsto una sezione blog, che sarà un vero e proprio contenitore di articoli, appunti e quant’altro mi andrà di scrivere e condividere con voi, compresa la costruzione di apparecchiature elettroniche per strumenti musicali, altra passione che coltivo da circa 7-8 anni. Sul sito è inoltre presente una sezione con la strumentazione fotografica che uso per i miei lavori, oltre alla mia galleria Instagram e a quella dei video che ogni tanto mi diverto a girare e uppare su Youtube.

Non sono un webmaster e questo sito è praticamente nato da zero e con competenze specialistiche sotto il minimo sindacale, quindi se ci sono errori o altro perdonatemi, lavorerò per migliorare la fruibilità e la navigazione 🙂

Se poi vi va, date un’occhiata a chi sono, e se avete feedback, idee o suggerimenti, non esitate a contattarmi con l’apposito form, oppure scrivendomi una mail a info@carlocarbotti.it

Effeunopuntoquattro è inoltre su Facebook e su Twitter, guardate la barra dei social qui a destra e seguitemi!

 

2015 iniziato alla grande!

Ebbene si, anno iniziato bene! Lo scorso mese ho partecipato per gioco al contest indetto dall’Amministrazione Comunale di Locorotondo, teso ad individuare una o più foto che sarebbero poi finite sul calendario ufficiale 2015.

Dopo quasi due settimane di votazione su Facebook, la mia foto è risultata la più votata, con 475 like, circa 150 in più della foto giunta seconda. Oggi sono andato a ritirare i calendari, e devo ammettere di essere davvero contento! Per essere la prima volta che partecipo ad un concorso, non è andata niente male 🙂